LE NUOVE FRONTIERE DELL’ACQUA

È forse quasi scontato, ma è bene ricordarlo: l’acqua potabile è un bene preziosissimo e fondamentale per la vita sul nostro pianeta. Un tesoro insostituibile che, purtroppo, va scarseggiando a causa di fenomeni quali il cambiamento climatico e l’aumento della popolazione.

Per fortuna, la scienza ci corre in aiuto con tecnologie grazie alle quali è possibile ottenere acqua pulita anche in luoghi che non ne hanno grandi quantità a disposizione, o in cui l’inquinamento ne ha compromesso le maggiori scorte. Dai dissalatori alla sintetizzazione dell’acqua, questi metodi di potabilizzazione sono pensati apposta per far fronte all’emergenza della siccità che mette a rischio flora e fauna locali, campi coltivati e, addirittura, la vita umana.

Come spesso succede, però, anche le tecnologie più efficienti possono avere costi alti e risultati non all’altezza del processo naturale da cui prendono ispirazione. Continuate a leggere questo articolo per scoprire luci e ombre delle nuove frontiere dell’acqua!

Acqua dolce dal mare: i dissalatori

La maggior parte dell’acqua presente sulla Terra si trova nei mari e negli oceani. Non è una sorpresa, quindi, che l’umanità abbia ad un certo punto voluto provare a ricavare acqua adatta al consumo da questi immensi bacini. La dissalazione, infatti, è il processo attraverso il quale una certa quantità d’acqua ad alto contenuto salinico viene trasformata in acqua cosiddetta dolce, ovvero povera di sali minerali e, quindi, potabile.

La dissalazione dell’acqua marina è un fenomeno studiato fin dall’antichità – il filosofo greco Aristotele, ad esempio, ne parla nella sua opera dal titolo “Meteorologica”. La pratica dell’estrazione del sale dall’acqua fu portata avanti dalle civiltà occidentali attraverso i secoli, specialmente dai naviganti che, quando erano al largo, necessitavano di un metodo per poter ottenere acqua fresca e dolce dalla vastità dei mari che si trovavano ad esplorare.

È solo con l’avvento dell’industrializzazione, però, che la dissalazione diventa una pratica diffusa su grande scala.

Al giorno d’oggi, sono tre i tipi di dissalazione maggiormente diffusi. Tutti utilizzano tecniche e impianti anche molto diversi tra loro: sono la dissalazione evaporativa, per permeazione e per scambio ionico.

La dissalazione evaporativa, come suggerisce il nome, si ha quando l’acqua salata viene scaldata fino al punto di evaporazione. La condensa viene raccolta e riportata allo stato liquido. La parte acquosa, ora dissalata, è adatta al consumo umano, mentre la parte solida – solitamente composta da cloruro di sodio, ovvero il comune sale da cucina – in alcuni casi viene recuperata in forma cristallina e riutilizzata con altre destinazioni.

I macchinari utilizzati per questo processo devono essere costruiti con materiali resistenti al calore e alla corrosione: per raggiungere la soglia di evaporazione, infatti, è necessario che operino a temperature tra i 40 e i 200 gradi Celsius, e l’esposizione prolungata al cloruro di sodio ha effetto corrosivo sui metalli non adeguatamente trattati.

La dissalazione per permeazione, anche detta ad osmosi inversa, richiede che l’acqua salata venga pompata attraverso membrane semipermeabili che intrappolano le particelle di sale e restituiscono acqua pura. Il termine “osmosi inversa” fa riferimento al fenomeno naturale attraverso il quale un solvente si diffonde da una zona con minore concentrazione di soluto ad una in cui la concentrazione è maggiore passando attraverso una membrana; il risultato è che le due soluzioni, al termine del processo, presentano la stessa concentrazione di soluto nella stessa quantità di solvente. L’osmosi inversa è, invece, un processo artificiale in cui la direzione del flusso è contraria rispetto a quanto avverrebbe in condizioni naturali.

La dissalazione per scambio ionico, infine, si ottiene rimuovendo dall’acqua salata ioni Na+ e Cl- con l’utilizzo di specifiche resine. Si tratta di una tecnica adatta soltanto a piccole quantità di acqua che necessitano di essere trasformate velocemente in acqua pura ed è, perciò, meno diffusa delle due descritte precedentemente.

La sintetizzazione dell’acqua

La denominazione chimica dell’acqua è una delle più conosciute del mondo: H2O, ovvero una particella composta da due atomi di idrogeno (H2) e uno di ossigeno (O). 

Questa particella si ottiene in seguito a delle specifiche reazioni chimiche che avvengono naturalmente nel nostro ecosistema. Non di rado, però, queste reazioni sono il risultato di eventi non controllati e spesso distruttivi: si pensi a reazioni combustive ed esplosive, come ad esempio violente eruzioni vulcaniche, che hanno proprio l’acqua come sottoprodotto.

È possibile, allora, ottenere l’acqua artificialmente facendo reagire degli specifici elementi in un ambiente controllato? Tecnicamente sì: la si potrebbe sintetizzare a partire dai due elementi che la costituiscono (ossigeno e idrogeno), oppure avviando reazioni chimiche tra composti più complessi che li contengono e quindi, in determinate condizioni, possono creare acqua. Un esempio è la formula acido + base, un particolare tipo di reazione che ha l’acqua come sottoprodotto.

Ad oggi, però, la sintetizzazione dell’acqua è un processo poco diffuso perché spesso pericoloso (idrogeno e ossigeno sono altamente infiammabili ed esplosivi) e poco conveniente – la quantità di acqua prodotta tramite sintetizzazione o reazione chimica, infatti, è davvero piccola. Inoltre, se l’ossigeno è un elemento presente in abbondanza sul nostro pianeta, non si può certo dire lo stesso dell’idrogeno che, anzi, spesso viene estratto proprio dall’acqua!

La sintetizzazione dell’acqua resta comunque un’alternativa che, nel prossimo futuro, gli studiosi hanno intenzione di approfondire, in quanto potrebbe tornare utile in casi di estrema necessità o di assoluta mancanza di una fonte d’acqua non potabile a cui attingere. 

Chissà, forse un giorno sintetizzeremo l’acqua a partire da elementi abbondanti su un altro pianeta!

Le caratteristiche insostituibili dell’acqua di fonte

Il prodotto della dissalazione, così come della distillazione e della sintetizzazione in laboratorio, è acqua pura – non si tratta di una soluzione di acqua e sali minerali come nel caso dell’acqua di fonte. L’acqua pura non viene, infatti, ritenuta potabile: perché lo diventi è necessario aggiungere piccoli quantitativi di elementi quali sodio, calcio, potassio, magnesio e fluoro – quello che viene comunemente chiamato residuo fisso.

Acqua Sant’Anna sgorga da una sorgente d’alta quota, in un ambiente naturale e incontaminato. Con il suo residuo fisso naturalmente basso, disseta senza appesantire l’organismo, a cui fornisce tutti i sali minerali di cui necessita per essere correttamente idratato. Ciò la rende un’acqua unica e leggera che non affatica i reni, stimola la diuresi e, soprattutto, è buonissima da bere! 

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